Siamo abituati da mesi a vedere la ministra dell’Istruzione presenziare in maniera permanente in ogni angolo del Paese, sui mezzi di comunicazione tradizionali e nuovi mentre annuncia “urbi et orbi” che il 14 settembre le studentesse e gli studenti italiani ritorneranno in classe.
Per questo l’inquilina di viale Trastevere e il suo staff al ministero, per loro stessa ammissione, stanno lavorando giorno e notte per trovare gli spazi che garantiscano, come era stato richiesto dal Comitato Tecnico Scientifico (CTS), il distanziamento tra coloro che occuperanno le classi.
In molti, compresi noi insegnanti, hanno espresso più di qualche legittimo dubbio sui risultati di questa ricerca a partire dal famoso “cruscotto”, anche questo annunciato, a Roma in Senato e al mondo in televisione, ma mai visto nelle scuole della penisola.
Il 6 agosto, con grande sfoggio di comunicati da parte del ministero, è stata addirittura sottoscritta un’Intesa con quasi tutte le organizzazioni sindacali di docenti e dirigenti scolastici, l’unica a chiamarsi fuori è stata la Gilda degli Insegnanti, che recepisce il Protocollo di sicurezza con le indicazioni del CTS nelle quali veniva indicata come misura imprescindibile per la sicurezza di tutta la comunità scolastica il famoso “metro dalle rime buccali”. Con questa misura si assicurava il distanziamento statico che a detta degli scienziati è l’unica vera terapia, per ora conosciuta, contro il
Coronavirus.
Grave danno d’immagine sarebbe occorso alla ministra e a tutto lo staff se dopo tanti proclami pubblici sulla ripresa delle lezioni in presenza si fosse scoperto che ottemperando alle misure del Protocollo a settembre meno della metà delle studentesse e degli studenti poteva realmente
riprendere le lezioni in presenza.
Facile, quindi, immaginare cosa sia successo al ministero dell’istruzione quando lo staff e la ministra si saranno resi conto, come da mesi tutti noi sappiamo, che degli spazi e degli insegnanti necessari per sdoppiare le classi e garantire in tutte le scuole d’Italia il “metro dalle rime buccali”, a
meno di 20 giorni dalla ripresa delle scuole, ancora nulla si sapeva né erano alle viste soluzioni praticabili.
Ecco allora che dal ministero in agitazione parte la richiesta al CTS, come si legge nel verbale n. 100, di precisare se “nelle situazioni in cui non sia possibile garantire il distanziamento prescritto, l’utilizzo della mascherina possa ritenersi soluzione idonea allo svolgimento dell’attività scolastica”.
Immagino lo stupore dei membri del CTS ai quali, così come “a Roma e a tutto il mondo” era stato garantito dal ministero dell’Istruzione che tutto andava bene e che gli spazi e gli insegnanti erano già pronti per la ripresa delle lezioni in presenza e in sicurezza.
Cosa sia accaduto sul fronte delle scoperte scientifiche nelle prime settimane di agosto non è dato sapere, ma il CTS rispondeva alla ministra che il distanziamento fisico di minimo un metro è la misura principe per la prevenzione, ma aggiungeva che solo in situazioni temporanee e limitate nelle quali non si riuscisse a garantire il distanziamento l’uso della mascherina chirurgica è uno strumento di prevenzione. Si è aperta così la via alla possibilità cioè di stipare in una aula scolastica un numero
di alunni maggiore di quello che il “metro dalle rime buccali” consentirebbe purché tutti indossino la mascherina chirurgica.
L’ennesima situazione confusa, nella quale il personale scolastico non sa che cosa deve fare: strutturare gli spazi per garantire il distanziamento di minimo un metro (due per la cattedra)? Oppure ordinare milioni di mascherine ogni giorno da far indossare a tutti?
Purtroppo, i ritardi e l’ostinazione dell’Amministrazione nel ribadire che tutto era pronto e predisposto per il ritorno a scuola saranno stati forse utili alla propaganda politica, ma non hanno di certo giovato alla reale consapevolezza degli ostacoli da superare da parte di chi ha la responsabilità prima di riportare tutti a scuola in presenza.
Il timore è che senza una regia nazionale competente e capace, in grado di gestire le situazioni che tutti sono consapevoli potranno verificarsi alla ripresa delle lezioni in presenza (ne abbiamo prova in alcuni stati esteri) i nostri 7.500.000 studenti e gli 800.000 insegnanti, loro malgrado,
saranno costretti a riprendere quella non-scuola che è la didattica dell’emergenza.
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