Gilda

giovedì 17 luglio 2014

Docenti e rischio stress. All'Uni "La Sapienza" indagine sul fenomeno. Questionario aperto a tutti i docenti di ogni ordine e grado fino al 30 settembre



di Eleonora Fortunato - Insegnamento e patologie legate allo stress. Tante volte abbiamo deprecato la scarsa attenzione delle istituzioni e il vuoto legislativo in materia. Perciò siamo lieti di segnalare ai lettori di Orizzonte Scuola un’indagine avviata dalla dottoressa Luisa Vianello nell’ambito suo dottorato di ricerca in Psicologia sociale, dello sviluppo e ricerca educativa alla Sapienza di Roma.
La ricerca, che ha lo scopo di fare luce sul livello di stress legato al mestiere, è aperta a TUTTI i docenti di scuole di ogni ordine e grado, precari e di ruolo (e non, quindi, soltanto a coloro che già si sentono in burn-out conclamato), e per parteciparvi basterà semplicemente rispondere alle domande di un questionario online. E’ già possibile, e lo sarà fino al 30 settembre, compilarlo mandando una mail vuota all’indirizzo questionariosapienza@gmail.com. A quel punto si riceverà una mail con il link per accedere alla compilazione, che richiede circa 25 minuti (è possibile salvare le proprie risposte e riprenderle in un altro momento; tutto si svolge nel rispetto della privacy e per nessun motivo sarà possibile risalire all’identità dei partecipanti).
Abbiamo intervistato la dottoressa Vianello per capire meglio in quale prospettiva si situi il suo interessante lavoro di ricerca.
Il lavoro dell’insegnante può essere considerato ad elevato rischio burn-out? A livello internazionale, ci sono studi che dimostrano i rischi da stress-lavoro-correlato?
“Il lavoro dell’insegnante fa parte della categoria delle cosiddette helping profession, in cui il lavoratore è a stretto contatto con la propria utenza, come ad esempio infermieri e psicologi. Esso è però l’unico nel quale il lavoratore si trova a strettissimo contatto l’utenza per almeno 4 ore al giorno, per 5 giorni a settimana, per periodi che vanno dai 3 ai 5 anni. Gli studi che dimostrano il collegamento tra il lavoro docente e burnout sono numerosi. Riporto solo alcuni degli studi europei: Spagna (Betoret 2009 e Moya 2010), Finlandia (Santavirta 2007), Norvegia (Slaalvik 2011).
Quali sono i campanelli d’allarme?
“Il burnout è una sindrome vera e propria che coinvolge l’intera psicologia dell’individuo e causa uno sconvolgimento del contesto personale e lavorativo in cui la persona scarica le proprie frustrazioni: è una rottura dell’equilibrio tra la persona e la sua professione. In particolare, nelle cosiddette helping profession, la sindrome porta a conseguenze negative anche per gli utenti che si affidano al servizio. Lo stress raggiunge livelli così alti che si “scoppia”. E’ un crescendo in cui ci si sente completamente esauriti, sia fisicamente che emotivamente, non si ha alcun interesse per il proprio lavoro e si tende a non organizzare quello che si deve fare. La particolarità di questa situazione è che difficilmente si riconosce di esserci caduti. E questo mette a serio rischio il proprio lavoro e i propri studenti. Si può guarire dal burnout, ma non da soli. E non si parla di un po’ di riposo o di una vacanza. E’ necessario l’intervento di uno specialista e nei casi più gravi di uno psichiatra. Quello che voglio dire è che bisogna essere consapevoli dei rischi che si corrono per la propria salute e che non si deve pensare di potercela fare da soli”.
Cos’è che provoca stress? La relazione con i discenti, quella con i genitori, con i colleghi, con i superiori? O la concomitanza di tutti questi fattori?
“Questo è un punto complesso. Numerose ricerche internazionali (tra cui: Santavirta N., Solovieva S. 2007; European Trade Union Committee for Education ETUCE 2007; Guglielmi, Simbula 2011) riportano fino a 50 differenti job stressor, ossia fattori che vengono ritenuti stressanti per il proprio lavoro. Ne riporto solo alcuni: gestione della classe, il dover prendere delle decisioni, l’ambiguità del ruolo, il sovraccarico lavorativo, la stima da parte dei colleghi, i vincoli temporali da rispettare. Ogni insegnante avrà una diversa percezione di questi, ma gli studi precedentemente riportati ci dimostrano che non è mai un solo fattore la causa di tutto”.
In un’intervista col nostro giornale il dott. Vittorio Lodolo D’Oria sosteneva che nel nostro Paese le istituzioni faticano a prendere coscienza di questo fenomeno perché ne verrebbe fuori un’emergenza poi difficile da gestire. E’ d’accordo?
“Il dottor Lodolo D’Oria (che segue con piacere questa ricerca) ha svolto in questi ultimi anni un lavoro egregio sul burnout, dimostrando quanto sia presente nella nostra scuola e di cui non si ha alcuna consapevolezza. Non posso che essere d’accordo con le sue parole. Prendere coscienza vorrebbe dire, ad esempio, fornire un supporto psicologico ai docenti all’interno di ogni scuola, organizzare corsi di formazione ogni anno: ma quanto costerebbe tutto questo? Dobbiamo chiederci se vogliamo muoverci in una nuova direzione o raggiungere Francia e Gran Bretagna dove (come riporta il Dottor Lodolo D’Oria stesso) è presente un alto rischio suicidario fra gli insegnanti”.
Quali sono le esperienze internazionali da cui potremmo imparare qualcosa?
“Il burnout è strettamente connesso alla professionalità e all’ambiente circostante. Questo è per spiegare che nonostante l’educazione scolastica sia concettualmente uguale in tutto mondo, i fattori che possono portare allo stress sono legati al territorio nazionale di appartenenza. Quindi non possiamo affermare che in tutto il mondo ci siano le stesse cause che scatenano il burnout e allo stesso modo non esiste “ la ricetta perfetta per evitarlo”. Possiamo però imparare da dove c’è più informazione, più condivisione, più consapevolezza. Sono fattori che in alcuni casi aiutano la prevenzione. Già parlarne e sapere che esiste è un primo passo”.
Come è nata questa sua ricerca? Che obiettivi si prefigge?
“Questo lavoro non può che nascere dall’esperienza personale: sono un’insegnante della scuola primaria, precaria da 11 anni. Ho avuto anche io dubbi e moltissime difficoltà. Quando ho iniziato il Dottorato di ricerca due anni fa, ho pensato subitodi proporre una ricerca su questo argomento. Sono partita da una riflessione sugli obiettivi di Europa 2020, in cui si propone chiaramente di migliorare la qualità e l’efficacia dell’istruzione e della formazione: “Sussiste l'esigenza di garantire un insegnamento di qualità elevata, offrire un'istruzione iniziale adeguata ai docenti e uno sviluppo professionale continuo agli insegnanti e ai formatori e rendere l'insegnamento una scelta di carriera allettante“ (Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea C 119/3 IT del 28/5/2009). Ma oggi in Italia quella dell’insegnante purtroppo non è una carriera allettante. Diverse ricerche (tra cui quelle dell’Istituto Iard del 1999, 2000 e 2010) dimostrano che un numero sempre maggiore di insegnanti percepisce una caduta del prestigio e che sta avvenendo una femminilizzazione della professione che porta ad un’ulteriore svalutazione della professione stessa. Durante il mio percorso ho contattato la Gilda degli Insegnanti che organizzava seminari in cui si affrontava proprio l’argomento del burnout. Da qui è nata la collaborazione con l’Associazione che ha proposto inizialmente il questionario ai suoi iscritti di Bologna e Bari. Gli obiettivi sono molteplici, principalmente vorrei contribuire a chiarire alcune ombre su questo argomento molto complesso e dare voce agli insegnanti interpretando dati statistici, non facendo un sondaggio di gradimento”.
Come saranno articolati i questionari?
“Il questionario è uno solo (all’interno ci sono diverse sezioni) e si compila online. Lo so che con l’arrivo del registro elettronico molti insegnanti saranno stanchi di usare il computer anche d’estate, ma internet è un ottimo mezzo per raggiungere un numero ampio di persone. Le domande sono quasi tutte a scelta multipla, bisognerà solo cliccare la risposta che si sceglie. Non ci sono risposte giuste o sbagliate, si chiederà soltanto di essere sinceri”.
(da OrizzonteScuola)

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