Gilda

sabato 31 dicembre 2016

APE “regina” di contraddizioni. Ombre e luci di un prepensionamento necessario ma insufficiente





 di Vittorio Lodolo D'Oria su Professione Docente



Immaginiamo per un momento di essere chiamati a risolvere il grave dissesto in cui versa la previdenza pubblica: i dati, esasperati per far capire meglio l’esempio, non ci offrono alcuna alternativa se non quella di innalzare di molto l’età pensionabile e la Ragioneria dello Stato ci avverte che, a conti fatti per numero di lavoratori, contributi e pensioni, dobbiamo innalzare l’età della pensione fino a 137 anni. Come rispondere ai burocrati? Innanzitutto usando il buon senso e affermando l’ovvio: nessuno vive ,per giunta in salute, fino a quell’età. Si dovranno perciò ipotizzare soluzioni alternative anche perché, oltre all’età anagrafica, andrà poi valutato l’impatto della crescente anzianità di servizio che si tradurrà in un conseguente aumento delle patologie professionali. In parole ancora più semplici, dovremmo ricordare a chi “fa di conto” che i lavoratori sono persone e non semplici numeri, inoltre una riforma previdenziale dissennata costringerà a una brusca retromarcia obbligando i lavoratori a pagare altrimenti.
E' esattamente quanto successo nella scuola dove la cosiddetta APE rappresenta il correttivo a un evidente e marchiano errore del manovratore che ha operato ben quattro riforme previdenziali, dal ’92 a oggi, senza alcuna verifica preventiva della salute anagrafica e professionale della categoria. Si è passati così dalle baby-pensioni ai 67 anni nel giro di quattro lustri. L’Inps ci ricorda che nel 1980 si poteva andare in pensione a 47 anni, mentre oggi si deve lavorare fino a 67: chiunque avrebbe intuito che 20 anni in più sulle spalle si sarebbero portati dietro un bel numero di acciacchi personali e professionali. La salute insomma avrebbe giocato un ruolo fondamentale ma si è preferito non “coinvolgerla”. Forse il trucco consiste proprio in questo: si innalza smisuratamente l’età pensionabile e se poi il lavoratore si usura, deve pagare salatamente l’uscita anticipata. Se poi il lavoro è usurante, ma non è riconosciuto tale come quello dell’insegnante, lo stratagemma offre ancora più vantaggi.
Tutto ciò premesso, il riconoscimento del governo, seppure tardivo, è certamente il benvenuto nonostante presenti numerosi lati oscuri. Dal prossimo anno le maestre della scuola dell’infanzia potranno infatti andare in pensione a 63 anni in barba alla legge Fornero, mentre per tutti gli altri docenti sarà possibile anticipare l’uscita dal mondo del lavoro pagando un esoso (e iniquo) balzello. Perché il governo ha riconosciuto solo quello della maestra della scuola dell’infanzia come lavoro usurante? Perché non ha fatto lo stesso per tutti gli altri livelli d’insegnamento garantendo le medesime agevolazioni? Dispone forse di dati che si è dimenticato di presentare, oppure sta agendo d’impulso a seguito del crescente numero di casi di maltrattamenti nelle scuole dell’infanzia da parte di maestre esaurite? Comunque stiano le cose, sta sbagliando perché: 1) i dati oggi disponibili rivelano che il livello di usura psicofisica è il medesimo in tutti i livelli di insegnamento; 2) non si apporta un correttivo di una riforma senza possedere dati e peggio ancora senza renderli noti o sulla base di articoli allarmistici; 3) l’uscita facoltativa per i docenti dal mondo della scuola a 63 anni resta del tutto insufficiente e deve essere abbattuta ulteriormente.
Una professione usurante ancora non riconosciuta
Per comprendere al meglio l’intera questione dobbiamo prima porci una serie di domande dirette: insegnare usura? Quali organi e apparati sono più colpiti? Quali le malattie professionali tipiche della categoria? E i segni clinici premonitori? Dopo quanti anni di servizio si manifestano? Sono colpiti tutti i livelli d’insegnamento allo stesso modo? L’età anagrafica e l’anzianità di servizio del lavoratore rappresentano due variabili importanti nell’attuare una riforma previdenziale? Per ora ci fermiamo qui: non avrebbe infatti alcun senso porci ulteriori domande in materia di tutela della salute degli insegnanti se prima non si sono individuate le patologie professionali da prevenire.
Le domande di cui sopra, tutte legittime e importanti, hanno in comune una caratteristica: sono a tuttoggi senza risposta da parte dei decisori (governo, istituzioni, etc). Si spiega dunque perché nessuna delle quattro riforme previdenziali, operate dal 1992 a oggi, sia stata preceduta da un controllo della salute della categoria, quando gli studi a disposizione rivelano che le inidoneità per motivi di salute degli insegnanti presentano diagnosi psichiatriche nel 70-80% dei casi. I disturbi mentali hanno poi un’incidenza cinque volte superiore alle disfonie che sono paradossalmente riconosciute come causa di servizio. Infine preoccupante il dato che riguarda le patologie oncologiche,prevalentemente tumori al seno, che sono spesso legate alle malattie depressive (nota è nel mondo scientifico l’escalation depressione-immunodepressione-neoplasia).
L’usuramento psicofisico dei docenti: una questione universale
La situazione in Europa è più chiara: la Francia ha per prima lanciato l’allarme del rischio suicidario più alto negli insegnanti rispetto a tutte le altre categorie professionali (2005), poi è stato il turno del Regno Unito (2009), infine quello della Germania (2015). In Italia disponiamo di tutti gli elementi necessari per stabilire quali siano realmente le malattie professionali dei docenti, ma mai abbiamo effettuato simili ricerche ignorando (volutamente?) questi dati scomodi ma preziosi facendoli ammuffire negli scantinati dell’Ufficio III del Ministero Economie e Finanze.
Stereotipi, considerazione sociale e peculiare rapporto con l’utenza
L’Opinione Pubblica preferisce nutrirsi di stereotipi sui docenti (così noti da non doverli ripetere) ignorando che l’alta usura psicofisica del loro lavoro di relazione (ricompreso, non a caso, tra le cosiddette “helping profession”) è caratterizzato da un particolare rapporto con l’utenza. Questo presenta infatti connotati plurimi e unici: continuativo, prolungato, asimmetrico sia dal punto di vista numerico che generazionale, senza maschere, col docente che invecchia mentre gli alunni ringiovaniscono a ogni cambio di ciclo scolastico (effetto Dorian Gray rovesciato). Inutile rammentare gli oltre 40 fattori stressogeni già riconosciuti che spaziano dai rapporti con la dirigenza a quelli con le famiglie per passare dalla gestione degli alunni disabili a quelli extracomunitari.
La tutela della salute di una professione prevalentemente femminile
Alle raccomandazioni UE del 2004 sulla tutela della salute sul posto di lavoro, è stato risposto col DL 81/08 (Testo Unico sulla salute dei lavoratori) che nella scuola è divenuto operativo solo nel 2011, ma solo a parole. Non sono stati infatti stanziati fondi ad hoc per la prevenzione dello Stress Lavoro Correlato che, secondo la norma, deve essere contrastato anche in base a sesso ed età. Invece nulla è cambiato ciò nonostante l’82% del corpo docente sia donna e l’età media superi i 50 anni con tutto ciò che questo comporta (in menopausa l’esposizione al rischio depressivo quintuplica).
Le soluzioni da adottare per una scuola in salute
Considerate le peculiarità di cui sopra, nonché la situazione vigente, occorre procedere immediatamente e contestualmente a:
• Allocare fondi ad hoc per attuare la prevenzione dello Stress Lavoro Correlato dei docenti prevista dall’art. 28 del DL 81/08.
• Attuare azioni di prevenzione negli Uffici Scolastici Regionali e nelle scuole che consistono nel formare i dirigenti circa le loro incombenze medico-legali e nell’informare i docenti circa i rischi professionali per la loro salute, nonché illustrare loro gli strumenti atti a contrastarli (accertamenti medici).
• Attivare, da parte del MIUR, appositi controlli in ogni istituto scolastico affinché la prevenzione dello Stress Lavoro Correlato sia attuata compiutamente.
• Effettuare uno studio retrospettivo, con i dati a disposizione dell’Ufficio III del Ministero Economia e Finanze, finalizzato a riconoscere ufficialmente le malattie professionali degli insegnanti e lo stato di salute della categoria.
• Riconsiderare le riforme previdenziali alla luce dei dati emersi su malattie professionali, usura psicofisica della professione, anzianità di servizio.
• Creare un osservatorio permanente sulla salute degli insegnanti che informi annualmente le Camere e l’Opinione Pubblica sulle condizioni di salute della categoria.
Non resta che rimboccarsi le maniche.
www.facebook.com/vittoriolodolo



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