Una gravità di questi concorsi sta nel fatto che i docenti sono stati valutati non sulle loro conoscenze disciplinari ma sul metodo con cui avrebbero insegnato. La libertà d’ insegnamento (comma 1 art.33) tutela le concrete modalità con cui l’insegnante svolge i programmi
23 Ottobre 2016 | di Renza Bertuzzi su Professione Docente
Gli esiti degli scritti del concorso a cattedra per le scuole sono stati allarmanti . Più della metà dei 71.000 candidati (tutti provvisti di abilitazione) non ha superato la prova, il che vuol dire che molte cattedre non verranno assegnate, e che anche il prossimo anno bisognerà ricorrere a incarichi pro- tempore affidati agli iscritti alle graduatorie ad esaurimento o a supplenze annuali.
Quasi tutti somari, dunque, i concorrenti? L’ ipotesi era troppo allettante per non sfruttarla : un sito di scuola ha condotto un’ inchiesta ( !) da cui sarebbe risultato che questi candidati non sapevano scrivere in Italiano, giudizio basato su quello degli esaminatori ma, a tutt’ oggi, non suffragato da prove convincenti. Alcuni giornalisti si sono buttati sul boccone dell’ ignoranza “inaccettabile”... Divertente che a lanciare strali sia stato Oscar Giannino, famoso per aver millantato titoli accademici che non possedeva, mentre Gian Antonio Stella, ottimo giornalista, che non perde occasione di criticare la scuola, questa volta, contrariamente al solito, si è fermato alla superficie senza approfondire il tema con la ricerca e con l’acribia che lo contraddistinguono.
Diciamo subito che non intendiamo difendere aprioristicamente la (eventuale scarsa) competenza linguistica dei candidati, tutti peraltro laureati ed abilitati. Sappiamo bene che la correttezza della lingua non è merce così diffusa tra molte categorie professionali (compresi i giornalisti) e che questa brutta immagine è anche un segnale di una scuola non più così efficace come dovrebbe. Sappiamo anche che un docente che non sappia scrivere non può darsi : è una contraddizione in termini.
Ciò detto veniamo però ad una analisi più puntuale.
1) Chi controlla (o ha controllato) i controllori? Le commissioni di esame non sono state formate con criteri rigorosi di selezione. La scarsa e offensiva retribuzione ha ovviamente imposto di non guardare tanto per il sottile sui titoli, piuttosto ampollosi richiesti. Nessuno di coloro che ha lanciato lai contro i somari, si è posto questa domanda.
2) Che tipo di prove erano? Come e in quanto tempo dovevano essere svolte?
Il tempo era uguale per tutti (150 minuti per otto prove) sulla tipologia di prova, prendiamo alcuni esempi esempio quella di Letteratura italiana alle Superiori, dall’ articolo “ I cento metri di Italiano, del Professor Claudio Giunta (docente di Letteratura Italiana presso l’ Università degli studi di Trento e collaboratore de “ Il Sole 24 ore) pubblicato ne “ Il Sole 24 ore” del 28 agosto 2016) e anche nel sito www.claudiogiunta.it.
“Si tratta di otto domande....[...] (2) A partire da Cigola la carrucola nel pozzo di Montale, elaborare «una prova di verifica conclusiva» sul tema della memoria «da Leopardi a Montale, attraverso Pascoli, Gozzano e Ungaretti», analizzando testi, connettendo «le diverse opere proposte e le poetiche dei vari autori». (3) Elaborare «un breve curricolo di letture (tre o quattro testi) di autori non solo italiani intorno al tema dello straniero, del diverso, del profugo e, più in generale, dell’estraneità. La scelta di ogni singolo testo va motivata alla classe e vanno spiegate le connessioni tra le diverse opere scelte». (4) Approntare «un’unità di apprendimento di due ore per presentare la Costituzione». [...]
Sono, come si vede, domande estremamente complesse, che richiedono risposte ben argomentate. Io francamente non saprei indicare, su due piedi, «tre o quattro testi» sul tema dello straniero e del profugo; sull’estraneità forse, ma dando a estraneità un senso talmente largo da farci entrare dentro un po’ di tutto, dai Promessi sposi all’Ulisse... Sono anche in parte, a mio giudizio, domande piuttosto assurde, che incoraggiano al dilettantismo perché premiano non la conoscenza reale dei testi e degli autori ma quella tabe dell’istruzione umanistica che è l’infarinatura (chi può dire, in un temino, cose sensate sul tema della memoria da Leopardi a Montale passando per Pascoli Gozzano Ungaretti?)
3) Con quali criteri sarebbero state valutate le prove? Cosa sarebbe stato meglio, in mancanza di tempo, approfondire?
Vediamo cosa racconta questa candidata (che ha superato le prove) nel suo Blog di Letteratura, assai seguito.
“Le domande aperte si stanno rivelando molto più che vaghe e indefinite: sono contenuti (notizie su autori e opere, in riferimento alle prove di Lettere che ho potuto direttamente visionare) quelli che la Commissione vuole leggere? O conta più la strutturazione didattica? E, se devo organizzare una lezione o stendere una verifica, come posso non soffermarmi sui contenuti per dimostrare che non parlo solo didattichese ma che conosco effettivamente gli argomenti? Cosa avrà più peso nella valutazione? In sole due ore e mezza di tempo, meglio scrivere un po' di tutte le risposte o farne benissimo alcune a rischio di tralasciarne un paio?
Scire nefas, non chiederci la parola, taci. Non esistono griglie di valutazione, oppure ci sono quelle che il Ministro della Pubblica Istruzione dice essere quelle di riferimento per tutti i Concorsi pubblici. Del tipo senza riferimenti specifici alla composizione della prova e alla professionalità che si intende testare. Se lo facessimo noi docenti, se usassimo la stessa griglia di valutazione per un tema di Maturità o per un pensierino sulla festa della mamma, per una prova di disegno o per un esercizio di ginnastica, alunni e genitori che ne penserebbero? E con che dignità faremmo mostra dell'arte del riciclo per risparmiare lavoro e risposte? “
E gli errori/ orrori?
In questa corsa contro il tempo, in questa gara dattilografica cui noi docenti siamo stati sottoposti, è facile, per citare un esempio emerso dalle commissioni (a quanto pare molto solerti a divulgare i dati alla stampa, meno a porsi il problema della trasparenza verso i candidati), che il peer tutoring diventi peer touring. Errore banalissimo di digitazione, che con la fretta si fa, tanto più che non c'era tempo di controllare le risposte. (athenaenoctua2013.blogspot.it/2016/08/palesemente-inadeguati-i-docenti-o-i.html).
Qui ci fermiamo, decisamente convinti che, se giudizio negativo debba essere espresso su questi esami, questo non possa certo scaturire primariamente dai risultati negativi delle prove.
Convinti ancor di più che nessuna voce si sia levata a riprovare- questo sì- la tipologia di concorso, rapido e immediato, senza possibilità di riflettere e di meditare; una sorta di test ampliato, ma davvero poco, che richiedeva soggetti usi al multitasking più che all’ attività critica ponderata. Una prova basata sulla corsa mentale.
E non è tutto. La gravità di questi concorsi è ancora più seria: questi docenti sono stati valutati non sulle loro conoscenze disciplinari ma sul metodo con cui avrebbero insegnato.
Non sappiamo se ciò sia avvenuto per scarsa conoscenza della Costituzione o per trascuratezza della medesima, ma il fatto è che la libertà di insegnamento ( Art. 33, 1 comma) consiste proprio nella libertà di metodo d’ insegnamento. Solo i regimi autoritari impongono ( o hanno imposto) l’ uniformità delle metodologia ; la nostra Costituzione ha voluto salvaguardare la possibilità che ad un docente venisse imposto una verità e un metodo di Stato. “Infatti, la predisposizione ministeriale dei programmi di insegnamento per i vari ordini di scuola tocca soltanto l’aspetto oggettivodell’insegnamento e non quello qualitativo relativo alle concrete modalità con cui l’insegnante svolgerà i programmi (cfr. Caretti-De Siervo, Istituzioni di Diritto Pubblico, p. 570).
Il tragico è che non c’è stato un grande Leviatano a decidere quale metodo dovesse passare e quale no. Ci sono stati miriadi di singoli esaminatori che- sulla base- di convinzioni del tutto personali hanno decretato chi promuovere e chi no. Ci sarebbe materia da ricorsi costituzionali, se questo non fosse un Paese un po’ malmesso, che sta riducendo la Carta in cartaccia. Tuttavia, anche se il momento non è brillante, non bisogna abbassare la guardia e almeno i docenti non dimentichino di difendere quella libertà di metodo che è garanzia di libertà di pensiero, cardine della Democrazia.
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