I dati sui salari dei docenti di scuola, contenuti in un recente focus, sono un sonoro pugno in faccia per l’Italia: nell’arco di 10 anni, dal 2005 al 2014, le buste paga degli insegnanti italiani hanno subìto un calo reale del 7%
Sempre più leggeri gli stipendi degli insegnanti italiani.Tanto leggeri che potrebbero meritarsi, in un fantozziano campionato europeo delle retribuzioni più basse, il titolo di campione nella categoria dei pesi piuma. I dati sui salari dei docenti di scuola, contenuti in un recente focus realizzato dall’Ocse dal titolo “Come si sono evoluti gli stipendi degli insegnanti e come si relazionano con quelli dei docenti universitari?”, sono un sonoro pugno in faccia per l’Italia: nell’arco di 10 anni, dal 2005 al 2014, le buste paga degli insegnanti italiani hanno subìto un calo reale del 7%. In Europa peggio del Paese della cosiddetta “Buona Scuola” (sic!) se la passano soltanto Grecia, Polonia, Ungheria e Slovacchia. Secondo il report dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, i nostri docenti sono tra quelli meno pagati del Vecchio Continente: appena saliti in cattedra, percepiscono in media 1.300 euro netti mensili e alla fine della carriera raggiungono quota 1.800 euro. Analizzando i dati su base annuale, il confronto con la realtà internazionale e quella europea è umiliante per i docenti italiani: la media salariale annua nei paesi Ocse risulta pari a 44.407 euro lordi, dunque lievemente superiore rispetto alla media europea che si attesta sui 44.204 euro, mentre in Italia la cifra scende vertiginosamente a 35.951 euro. Il lungo blocco del rinnovo contrattuale, unito all’aumento dell’inflazione, ha contribuito a impoverire ancora di più la categoria, come dimostrano ancora i numeri snocciolati dall’Ocse: oggi lo stipendio di un docente italiano neo assunto è in media di 29.445 euro annui mentre sei anni fa era di 31.914 euro. Colpa della crisi economica mondiale? Sostenere che sì, la causa risiede nella recessione globale, è una tesi che non regge perché a smontarla sono ancora i dati diffusi dall’Organizzazione parigina sull’andamento dei salari dei docenti nel resto d’Europa. Infatti, a parte la Grecia, che ha operato un taglio del 30%, e anche la Francia, dove gli stipendi sono scesi di cinque punti percentuali, negli altri Paesi si è registrato un incremento delle retribuzioni tra il 2005 e il 2014, cioè nel periodo preso in esame dall’Ocse, L’aumento medio, in termini reali, è del 6% per la scuola dell’infanzia, del 4% per la scuola elementare, del 3% per le secondarie inferiori e dell’1% per le secondarie superiori. I maestri irlandesi hanno goduto di un aumento stipendiale mensile del 13 per cento, quelli tedeschi del 10 per cento. Anche in alcuni Paesi nordici i compensi dei docenti si sono innalzati: è il caso della Norvegia, dove l’incremento è stato del 9 per cento, e della Finlandia che segna un più 6 per cento. Crisi a parte, dunque, appare evidente che il calo delle retribuzioni dipende soprattutto da scelte politiche che, invece di valorizzare la professione docente assegnandole il giusto riconoscimento economico, hanno fatto scivolare gli insegnanti verso una proletarizzazione sempre più spinta. In base alle rilevazioni dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, gli stipendi dei docenti italiani sono “relativamente bassi e variano tra il 76% e il 93% della media Ocse”. La deriva era stata già messa in evidenza dal rapporto annuale Eurydice Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe - 2015/2016 dedicato agli stipendi dei docenti e dei capi di istituto in Europa. Secondo questo studio, “solo in Italia, e a Cipro, gli stipendi dei dipendenti pubblici (compresi quelli degli insegnanti) continuano a rimanere congelati. Il governo italiano, infatti, per ridurre il deficit pubblico, ha congelato gli stipendi nel 2010, inizialmente fino al 2013, ma la misura è stata estesa da allora ogni anno”. Ad aggravare ulteriormente la condizione degli insegnanti è il ruolo di Cenerentola che riveste la scuola nell’ambito della pubblica amministrazione: in base ai dati dell’Aran aggiornati al 2015, infatti, i suoi dipendenti percepiscono le retribuzioni medie pro-capite più basse del settore.
Nel suo focus l’Ocse pone in relazione senza mezzi termini il livello delle retribuzioni con la perdita di motivazione dei docenti: “Il compenso e le condizioni di lavoro - scrive l’Organizzazione - sono fattori importanti per attrarre, sviluppare e trattenere una persona altamente qualificata come forza lavoro e, in particolare, i salari degli insegnanti possono avere un impatto diretto sulle decisioni individuali di intraprendere la carriera dell’insegnamento”. Puntare sull’istruzione pubblica valorizzando i docenti, dunque, è una mossa vincente per lo sviluppo non solo culturale, ma anche economico. Significa investire risorse, non spendere soldi, come dimostrano le esperienze dei Paesi che hanno incrementato gli stipendi degli insegnanti. La motivazione, elemento fondamentale per svolgere al meglio il proprio lavoro, passa anche attraverso il giusto riconoscimento economico. Di questo assunto si è dichiarata convinta anche la ministra dell’Istruzione, Valeria Fedeli, secondo la quale “quella dell’insegnante dovrebbe essere una delle professionalità maggiormente pagate, perché ha in mano il destino del Paese, e dovrebbe percepire almeno il doppio di quello che prende ora”. Parole che però finora non trovano adeguato riscontro nell’azione di Governo, considerato che per il rinnovo del contratto del pubblico impiego le risorse ammontano a poco più di 30 euro lordi pro-capite nel biennio 2016-2017 e per il 2018 non risultano ancora stanziate.
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