Gilda

martedì 3 febbraio 2015

Una “buona scuola”, ma senza investimenti. La radio "La voce della Russia" intervista Rino Di Meglio, coordinatore nazionale della Gilda degli insegnanti



"Se riparte la scuola, riparte l´Italia". Matteo Renzi promette per la fine di febbraio la riforma dell´istruzione, ovvero sia, secondo le parole del premier, la più grande riforma dal basso mai fatta in un Paese europeo. Che cosa dovrebbe essere cambiato in primis nel sistema scolastico italiano? Che cosa non torna nella "Buona scuola" di Renzi?


Ne abbiamo parlato con Rino Di Megliocoordinatore nazionale della Gilda degli insegnanti, che ha rilasciato gentilmente un´intervista a La Voce della Russia.

- Che cosa non la convince della riforma "Buona scuola"?
- Intanto chiariamo una cosa: non si tratta ancora di una riforma. Fino ad ora la cosiddetta "buona scuola" si è presentata semplicemente in un opuscolo pieno di colori e titoli, che ha fatto un gruppo di lavoro del Ministero. Di atti giuridici veri e di leggi non ci sono ancora, non c´è nulla di concreto ad oggi. Il primo ministro ha annunciato che verso la fine di febbraio cominceremo a vedere qualcosa di concreto.
Non ci convince la scarsa considerazione che c´è nella riforma sul ruolo degli insegnanti. Sono nominati pochissimo, soltanto per dire che si vogliono abolire i magri scatti di anzianità, ben poca cosa rispetto ad altri Paesi. Un insegnante italiano parte con uno stipendio bassissimo di circa 1200 euro nella scuola primaria, 1300 nella secondaria. Dopo 40 anni prende circa 400 euro in più. Non ci convince poi il fatto che si voglia fare un sistema di valutazione improvvisato del lavoro degli insegnanti. Secondo noi per valutare un docente ci vuole qualcuno che sia competente rispetto quello che fa. Non la cosa improvvisata che si configura: si prendono alcuni insegnanti della scuola, il preside, un genitore e uno studente. Nei Paesi seri c´è un sistema di ispettori competenti. È evidente che un sistema di valutazione serio costa, e l´impressione è che questo governo voglia fare riforme di facciata, con un po´ di rumore e propaganda, senza investire nulla però sulla scuola.

- Un aspetto che interessa molto i genitori oggi è la numerosa presenza di immigrati nelle classi. Molti bambini stranieri non sanno ancora la lingua italiana. Le classi e il programma dovrebbero essere divisi a suo avviso?
- Io sono contrario alla segregazione, penso però che prima di inserire gli alunni stranieri nelle classi, andrebbero fatti dei corsi intensivi di lingua italiana. La lingua è il primo strumento di comunicazione per uno straniero. Anche qui significa spendere e creare dei corsi per gli alunni, ma anche per i loro genitori. Se vengono accolti, anche loro hanno diritto di imparare la lingua italiana.

- In alcune città nelle classi ci sono più bambini stranieri che italiani. C´è il pericolo che gli alunni italiani seguano il percorso scolastico più lentamente o è un mito?
- Questo è possibile. Se un insegnante si trova una maggioranza di alunni stranieri viene messo in difficoltà con il suo programma. Non perché gli alunni stranieri siano peggio dei nostri, a volte sono anche più intelligenti. Il problema è la mancata possibilità di imparare la lingua. Il governo dovrebbe investire moltissimo sull´apprendimento della lingua italiana.

- In un periodo quando la disoccupazione giovanile è ai massimi livelli, che ruolo ha la scuola e l´istruzione in generale?
- Il collegamento tra la scuola e il lavoro è molto importante. È giusto che il governo dedichi attenzione a questo tema, soprattutto tra l´istruzione tecnica professionale e il lavoro. Parliamoci chiaro: in ampie zone dell´Italia, soprattutto nel meridione, manca il lavoro, mancano le aziende. Non si vede neanche la possibilità di un collegamento effettivo. La realtà italiana è molto differenziata: mentre nel nord esistono attività di industrie e artigianato, nel sud Italia questo non c´è. Il governo dovrebbe prima creare il lavoro e dopo ben volentieri la scuola farà la sua parte. Aumentare il collegamento tra scuola e lavoro è uno dei punti positivi della riforma, l´importante è che ci sia un controllo della scuola, che non diventi una sorta di lavoro nero.

- Al di là della riforma, che cosa andrebbe modificato a suo avviso in primis del sistema scolastico?
- Una difficoltà è l´enorme numero di precari nella scuola, speriamo il governo faccia un lavoro di stabilizzazione da settembre. L´altra grande difficoltà, tipicamente italiana, è lo strano meccanismo creatosi gli ultimi 20 anni per cui si è scaricato sulle spalle degli insegnanti un sacco di lavoro burocratico. Il governo e la società italiana devono capire una cosa: il bravo insegnante è quello che lavora bene con gli alunni, non chi compila scartoffie. La burocrazia nella scuola italiana sta diventando un´ossessione.

- Lei in diverse interviste ha detto che questa riforma non prevede alcun investimento. Senza risorse come può essere realizzata una riforma?
- Questo è il problema reale. L´Italia è in crisi economica, lo capiamo tutti quanti. Nessuna riforma seria della scuola, settore centrale per il futuro del Paese, può essere effettuata se non si decide di investire. Nella legge di stabilità e quella finanziaria prevista per il 2015, hanno messo mille milioni di investimento nella scuola pubblica statale, che dovrebbero essere tutti assorbiti dalle sistemazioni dei ruolo dei precari. Se andiamo a leggere bene però hanno fatto circa 800 milioni di tagli, per cui l´investimento reale si riduce a 200 milioni, che sono una miseria in un meccanismo di un milione di dipendenti. Non ci sono contratti di lavoro per i dipendenti, dal lontano 2009 il personale della scuola non vede un centesimo di aumento contrattuale. Nel frattempo le retribuzioni sono state erose sia dall´inflazione sia dall´aumento della fiscalità.

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