Pubblicato su L'Unione Sarda
di Gabriele Uras, Dirigente Ispettore del MIUR in quiescenza.
BULLISMO CHE FU
Oggi il bullismo è agli onori, o disonori, della cronaca, sia che lo
si intenda come violenza tra gli allievi sia che si manifesti come
ribellione e offese verso i docenti. Si dice che il bullismo c’è
stato anche nel passato, ed è vero, ma forse era una cosa diversa da
quello di oggi, per molte ragioni, tra le quali occorre rimarcare che
quella odierna è una scuola di massa, mentre quella di un tempo era
aperta solo a una minoranza di allievi, per i quali essa talvolta
fungeva da ascensore sociale, mentre oggi non più, a detta dei
sociologi e per nostra comune esperienza. Ma torniamo al Bullismo.
Giorni fa ho inviato un messaggio a un caro amico e, come me, già
studente all'istituto Magistrale di Sassari. Esso suonava così.
“Suggestionato dalla notizie di stampa e di TV sul bullismo,
stanotte ho sognato, indovina chi? Missillalla, l’insegnante di
musica, meglio di solfeggio. E al risveglio non ero sereno, ma
perplesso. Desiderai di essere seduto davanti al tavolo di un caffè,
con alcuni vecchi compagni del glorioso Istituto Magistrale che ci
liberò chi dalla zappa e chi dalla cazzuola, e ci abilitò maestri.
E con essi a ricordare e condividere, giudici e penitenti di noi
stessi, alcuni lontani episodi del nostro “innocente” bullismo, e
le analogie e le differenze rispetto a quelli d'oggi, illuminati
forse e forse anche confortati dall’amaca di Michele Serra e dal
lucido contributo di Maurizio Crippa sul Foglio, che danno del
bullismo una lettura di classe (sociale). Ma forse sbaglio a
coinvolgerti come correo, giacché eri iscritto alla sezione
femminile, ingentilita dalla presenza di tante belle ragazze. Non eri
della famigerata sezione A, tutta maschile, molti ripetenti, qualcuno
esperto nel rutto volontario intenzionale,
che la prof nel rimprovero chiamava rigurgito, subito corretta
dall’autore che la invitava a un uso più preciso del vocabolario.
Anche il prof di Religione, ottima persona e futuro monsignore, ebbe
qualche problema di disciplina nella nostra sezione. Mentre con
l’insegnate di scienze, che leggeva dal libro senza mai spiegare e
nessuno di noi la vide mai sorridere, e aveva la nota facile, si
sentiva volare una mosca. Io sono perplesso. E tu?”
E questa è stata la risposta dell’amico.
“Ebbi anch’io a che fare con Missillalla. Quante gliene abbiamo
combinate! Bullismo da parte nostra? Probabilmente sì, se leggiamo
la cosa con gli occhi di oggi. Tuttavia il nostro comportamento non
era dettato da malanimo; ci ridevamo sopra, scaricando su quella
povera donna (la più debole del branco docente) le tensioni che
altri suoi colleghi, non sempre all’altezza dei rispettivi ruoli,
contribuivano ad accumulare dentro di noi. Infine, ma lo dico con
affetto verso quella attempata e stravagante signorina, probabilmente
noi studenti ci eravamo resi conto di qualcosa che era sfuggito a chi
stava più in alto (Provveditorato Studi, etc.): la donna avrebbe
potuto fare, forse bene, tante altre cose; ma non insegnare. Non era
il suo mestiere, né possedeva i requisiti minimi per poterlo
esercitare.”
Nella tarda primavera Missillalla andò via. La nostra sezione
non la vide più. E quasi ci dispiacque, perché il nostro rifiuto si
era prima attenuato e poi col tempo era venuto meno, non senza
qualche punta di postumo rimorso, grazie anche a una ruvida lavata di
capo del preside e ad una illuminante ramanzina del professore di
Italiano e Storia. Le famiglie non vennero mai coinvolte, allora non
usava. Era ciò che molti di noi temevamo di più.
In quella classe di un Istituto Magistrale degli anni 50 del
secolo scorso eravamo una ventina, alcuni di città, altri
provenienti dai paesi del circondario, si alzavano alle sei del
mattino e rientravano affamati a casa nel pomeriggio. Tutti divennero
dei bravi maestri, due vinsero il concorso come direttori didattici,
uno passò alla scuola media e vi divenne preside, un altro fu per
molti anni missionario in Africa.
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